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Quando la portiera urta il pedone

quando la portiera urta il pedone

APPARENTEMENTE SCONTATO, IL RISARCIMENTO PUÒ RIVELARSI DIFFICOLTOSO

Il caso: un pedone veniva colpito al volto dalla portiera di un’auto, mentre camminava regolarmente lungo il marciapiede.

Il pedone si era visto riconoscere, in prima battuta, un risarcimento di soli 300,00 Euro con la sentenza di primo grado, avverso la quale aveva quindi proposto appello. Tuttavia in appello veniva accolto il ricorso incidentale proposto dalla Compagnia assicurativa in quanto il Giudice aveva ritenuto non corrispondente a verità la versione dei fatti rappresentata dal pedone in quanto “contrastante con elementi di fatto notori” quali: l’altezza dell’autovettura, l’altezza del marciapiede e l’altezza della suola delle scarpe calzate dal pedone. Da tali elementi il Giudice dell’appello aveva ritenuto di dover escludere che il pedone potesse essere stato colpito in volto dalla portiera.

Infatti l’altezza della portiera era indicata in mt. 1,55, l’altezza del marciapiede in cm. 10 e quella delle suole delle scarpe del pedone in cm. 2 per cui, considerato che il pedone era alto mt. 1,70 e che la distanza e la distanza della bocca dalla sommità del capo era di cm. 12, certamente il pedone non era verosimilmente stato colpito in bocca.

Al pedone non restava quindi che ricorrere per Cassazione.

La soluzione ella Corte:

Gli Ermellini hanno ritenuto viziata la sentenza di appello in quanto attribuisce la valenza di fatto notorio a fatti che non lo sono.

In particolare la Cassazione, con ordinanza n. 20482/2017 ha affermato la fondatezza del ricorso del pedone perché il Giudice dell’Appello aveva “compiuto valutazioni presuntive” basate su elementi che non possono venire ricompresi nella nozione di “fatto notorio” che comprende fatti che, rientrando nella comune esperienza, si ritengono conosciuti da tutti, “senza necessità di dover essere specificamente provati”.

 E’ di tutta evidenza che l’altezza della vettura, l’altezza del marciapiede e la distanza tra la bocca e la sommità del capo di un soggetto sono elementi che non possono rientrare nella comune esperienza!

Pertanto i fatti posti alla base della pronuncia di appello avrebbero dovuto essere provati specificamente per poter essere accertati nella loro effettiva oggettività.

La sentenza di appello è pertanto viziata per aver attribuito la valenza di “notorio” a fatti che, per poter essere posti a fondamento della decisione, avrebbero invece dovuto essere provati.

L’ordinanza:

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 28 agosto 2017, n. 20482

Rilevato che:

accogliendo l’appello incidentale proposto dalla Sara Assicurazioni s.p.a., il Tribunale di Napoli Nord ha rigettato la pretesa risarcitoria avanzata da Gi. Pu.(appellante principale avverso la sentenza del Giudice di Pace che gli aveva riconosciuto un risarcimento di soli 300,00 Euro), in relazione a lesioni che lo stesso assumeva di essersi procurato andando ad urtare, col volto, contro la portiera di un’autovettura aperta improvvisamente dal conducente Francesco Lavazzo (mentre il Pu. camminava sul marciapiede in prossimità del quale era stata parcheggiala la vettura);
il giudice di appello ha ritenuto che, la versione dei fatti prospettata dal Pu., risultante dalla denuncia di sinistro dello Ia. e confermata da un teste, non rispondesse al vero in quanto contrastante con elementi di fatto notori che facevano escludere che l’attore potesse essere stato attinto dallo sportello all’altezza della bocca; ha pertanto ritenuto false le dichiarazioni del teste Vo. e ha condannato il Pu. al pagamento della somma di 15.000,00 Euro a norma dell’art. 96, 3. co. cod. proc. civ.;ha proposto ricorso per cassazione il Pu., affidandosi a due motivi con cui ha denunciato -rispettivamente- la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 2. co. e 116 cod. proc. e dell’art. 96, 3. co. cod. proc. civ.; la Sara Assicurazioni s.p.a. ha depositato memoria e procura notarile alle liti.

Considerato che:

il Tribunale ha individuato come fatti notori l’altezza della Fiat Panda (indicata in non più di 1,55 mt), quella del marciapiede (indicata in almeno 10 cm) e quella della suola delle scarpe calzate dal Pu. («almeno 2 cm») e ha concluso che, tenuta presente l’altezza dell’attore (indicata in 1,70 mt) e stimata in 12 cm fra la distanza fra la sommità del capo e la bocca dell’attore, non risultava verosimile che lo sportello avesse colpito il Pu. alla bocca;
il primo motivo è fondato, in quanto giudice di appello ha compiuto valutazioni presuntive basate su almeno tre elementi che esulano dalla nozione di “notorio” (inteso come fatto che, rientrando nella comune esperienza, deve intendersi conosciuto senza necessità di essere specificamente provato): è evidente, infatti, che l’altezza della vettura, quella del marciapiede e la distanza fra la bocca e la sommità del capo del Pu. costituiscono elementi che non rientrano nella comune esperienza (se non in senso generico e orientativo) e che, pertanto, avrebbero dovuto essere specificamente accertati (eventualmente a mezzo di c.t.u.) onde essere individuati nella loro effettiva oggettività e poter costituire la base di un accertamento presuntivo non inficiato dall’incertezza dei fatti “noti”;
la sentenza risulta dunque viziata nella parte in cui ha attribuito valenza di notorio a fatti che non rivestono tale natura e richiedono pertanto di essere provati per poter essere posti (direttamente o indirettamente, tramite argomentazioni presuntive) a fondamento della decisione; il primo motivo merita pertanto accoglimento, mentre il secondo rimane assorbito;
la sentenza va dunque cassata con rinvio al giudice di merito (in persona di altro magistrato), che provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, al Tribunale di Napoli Nord, in persona di altro magistrato.

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