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Danno da ritardo diagnostico. Chiarimenti della Corte di Cassazione sulla colpa medica

Responsabilità medica: il radiologo non è responsabile per la diagnosi tardiva

Per poter affermare la responsabilità del medico per ritardo nella diagnosi, occorre verificare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva del sanitario ed il danno sofferto dal paziente, attraverso un criterio probabilistico, andando cioè ad indagare se il diverso e corretto comportamento del medico avrebbe prodottoserie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno”.

Se in corso di causa sopraggiunga il decesso del paziente, riconducibile al ritardo diagnostico per cui è causa, il giudice di merito si troverà a dover applicare la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” al nesso di causalità fra la condotta omissiva e negligente del medico e tutte le conseguenze dannose che da essa sono scaturite.

È quanto precisato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 8461/2019

IL CASO:

A causa dei danni subiti da una donna per ritardo nella diagnosi (carcinoma mammario diagnosticato come benigno), il marito ed i figli agivano in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni (per aver dovuto accudire la madre sia per aver dovuto rinunciare alla sua assistenza parentale, in ragione della malattia e delle precarie condizioni fisiche conseguenti alle cure alle quali si era dovuta sottoporre), la donna successivamente decedeva, in corso di causa.

La domanda veniva rigettata in primo grado, poiché il giudice aveva ritenuto che, pur anche se era stata provata la negligenza del medico, non erano emerse prove sufficienti a dimostrare il nesso di causalità con la patologia e con il seguente decesso della paziente che si sarebbe in ogni caso, verificato.

la Corte d’appello, aveva accolto le pretese risarcitorie degli attori, ma solo in parte, affermando che, anche in caso di diagnosi tempestiva, per la natura della patologie, la signora avrebbe potuto restare in vita solo due anni in più. La decisione era palesemente in contrastante con le risultanze della CTU, che indicavano un periodo di sopravvivenza più lungo. Gli eredi della vittima ricorrevano per Cassazione.

LA DECISIONE:

Gli Ermellini hanno accolto il ricorso ricordano i principi sottesi al nesso di causalità e ribadiscono che occorre utilizzare il criterio probabilistico per valutare se la condotta del medico correttamente e tempestivamente prestata, avrebbe avuto “serie e apprezzabili possibilità di evitare il danno poi verificatosi”.

Poiché il medico è tenuto a svolgere la propria attività con diligenza e perizia scientifica, qualora venga accertato che nel caso di specie il medico non ha operato secondo i detti canoni, il giudice, può ritenere che tale omissione sia stata causa dell’evento lesivo e che, diversamente, se fosse stata tenuta la condotta doverosa si sarebbe potuto evitare il verificarsi dell’evento-danno.

Continua la Corte affermando che anticipare il decesso di una persona già destinata a morire a causa della patologia che la affligge, costituisce comunque una condotta legata da nesso di causalitàall’evento morte, con conseguente diritto al risarcimento del danno in capo agli eredi della vittima.

Pertantola Corte d’appello ha errato nell’affermare che la morte della signora non sarebbe stata evitata dalla diagnosi tempestiva del medico, la quale avrebbe consentito soltanto una sopravvivenza di due anni più lunga: non ha tenuto conto delle maggiori percentuali di sopravvivenza indicate nell’accertamento peritale, ben superiori ai due anni prospettati dai giudici, valutando solo parzialmente l’accertamento del perito medico-legale. La sentenza di secondo grado è quindi viziata per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

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