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Responsabilità medica: ritardo diagnostico e violazione del diritto di autodeterminarsi

Responsabilità medica: ritardo diagnostico e violazione del diritto di autodeterminarsi

Il ritardo nella diagnosi in caso di patologia ad esito certamente infausto, comporta una responsabilità professionale sanitaria determinata dalla lesione di un bene del paziente di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, ma anche dalla perdita di chance del malato (aspettativa di vita in termini di tempo e qualità).

Di recente la Corte di Cassazione è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla questione del ritardo diagnostico e, con sentenza n. 7260/2018, ha chiarito che la violazione del diritto di determinarsi liberamente del malato terminale, non significa perdita della chance di effettuare singole scelte di vita, bensì lesione di un bene autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale che richiede, quale onere probatorio, esclusivamente la allegazione del ritardo diagnostico; pertanto non è necessario provare null’altro per ottenere il risarcimento del danno.

IL CASO: un uomo decedeva a causa della tardiva diagnosi di adenocarcinoma polmonare, pertanto gli eredi si rivolgevano al Tribunale per ottenere il risarcimento dei danni subiti, attribuendo la responsabilità della morte del proprio congiunto alla omissione colpevole dei medici, per non avere questi ultimi effettuato i necessari approfondimenti diagnostici.

La domanda veniva accolta in primo grado ma respinta in appello, avendo la Corte territoriale ritenuto insussistente il nesso di causalità tra il comportamento dei medici ed il decesso del paziente, ritenendo inoltre che gli eredi convenuti in appello non avessero adeguatamente allegato elementi in ordine alle diverse scelte di vita del paziente differenti da ciò che lui avrebbe adottato se fosse stato consapevole delle proprie condizioni di salute. Veniva pertanto proposto ricorso per Cassazione dagli eredi del defunto in quanto: il giudice dell’appello avrebbe errato nell’aver ritenuto non risarcibile la perdita di chances legata alle cure cd. palliative, sarebbe inoltre stato violato l’art. 132, n. 4, c.p.c. per non avere la Corte di Appello adeguatamente motivato l’irrisarcibilità della perdita di chances terapeutiche.

LA SENTENZA: gli Ermellini hanno dichiarato fondato il ricorso, cassato la sentenza e rinviato alla corte territoriale in quanto quest’ultima è incorsa in un equivoco: il danno lamentato non poteva essere fatto coincidere con la perdita di specifiche possibilità esistenziali alternative, ma piuttosto con la perdita di un bene reale, certo ed effettivo «non configurabile alla stregua di un quantum di possibilità di risultato o di un evento favorevole, ma apprezzabile con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto».

È risarcibile la lesione della libertà di scegliere se procedere immediatamente con le cure terapeutiche, se affidarsi alle cure palliative, oppure se decidere di vivere le ultime fasi di vita, accettando in modo cosciente e consapevole il dolore, senza che incombano altri oneri di allegazione argomentativi o probatori.

«La violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di chances connesse allo svolgimento di singole specifiche scelte di vita non potute compiere, ma nella lesione di un bene già di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico di una condizione patologica ad esito certamente infausto (da parte dei sanitari convenuti), l’assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno così inferto sulla base di una liquidazione equitativa».

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