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CADUTA CICLISTA e INSIDIE STRADALI

bici

Esclusa la responsabilità del Comune se il danneggiato conosce bene la strada per uso abituale.

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4638 del 22.02.2017 ha ritenuto non responsabile il Comune per la caduta di un ciclista a causa delle condizioni di dissesto della strada perché il danneggiato abitava nella strada lungo la quale era caduto, di conseguenza non poteva non conoscerla.

La Suprema Corte ha quindi rigettato il ricorso di un utente che aveva citato in giudizio il Comune chiedendo il risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza della caduta dalla bicicletta dovuta alla presenza di un tombino e di gravi sconnessioni sul manto stradale ritenendo che se il danneggiato abita nella strada in cui è caduto, seppure interessata da lavori di rifacimento, tuttavia ben visibili e che non poteva non conoscere, qualora l’incidente si verifichi, nella specie, a mezzogiorno, ovverosia in un’ora di massima luminosità, il suo comportamento integra gli estremi del fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità”.

Già in primo grado era stata negata la sussistenza di responsabilità in capo all’ente in quanto sia il Giudice di primo grado che la Corte d’Appello avevano ritenuto che l’incidente fosse da ascrivere integralmente alla responsabilità dell’utente che “abitava nella strada dove era caduto, la quale era interessata da lavori di rifacimento ben visibili e che egli non poteva non conoscere e che l’incidente si verificò a mezzogiorno, cioè in un’ora di massima luminosità; ed è pervenuta alla conclusione per cui il suo comportamento abbia integrato gli estremi del fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità”. Non poteva quindi ritenersi operante la responsabilità per le cose in custodia ex art. 20151 cod. civ.

In definitiva “In tema di danno da insidia stradale, quanto piu’ la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze della strada pubblica e’ suscettibile di essere prevista e superata dall’utente-danneggiato con l’adozione di normali cautele, tanto piu’ rilevante deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell’ente proprietario della strada e l’evento dannoso. Tale comportamento imprudente rileva ai fini del primo e non dell’articolo 1227 c.c., comma 2”.

La sentenza:

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI civile

ordinanza 22 febbraio 2017, n. 4638

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 255-2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;

ricorrente –

contro

COMUNE DI SASSARI, in persona del Sindaco, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato) e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

controricorrente –

avverso la sentenza n. 436/2014 della CORTE D’APPELLO di SASSARI del 18/07/2014, depositata il 20/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO FRANCESCO MARIA.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Sassari, il Comune di quella citta’ chiedendo il risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza della caduta dalla bicicletta dovuta alla presenza di un tombino e di gravi sconnessioni sul manto stradale.

Si costituì in giudizio il Comune convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese.

2. La pronuncia è stata appellata dall’attore soccombente in via principale e dal Comune in via incidentale e la Corte d’appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza del 20 ottobre 2014, ha rigettato l’appello principale, ha dichiarato inammissibile quello incidentale ed ha condannato l’appellante principale al pagamento dei due terzi delle spese del grado.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Cagliari ricorre (OMISSIS) con atto affidato a nove motivi.

Resiste il Comune di Sassari con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui all’articoli 375, 376 e 380 – bis c.p.c..

Il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della sentenza e del contraddittorio per avere la Corte d’appello deciso la causa non dando corso alla discussione orale che era stata richiesta ai sensi dell’articolo 352 c.p.c., commi 2 e 3.

1.1. Il motivo non è fondato.

Osserva la Corte che, come correttamente è stato rilevato nel controricorso, la richiesta di discussione orale della causa, ai sensi dell’articolo 352 c.p.c., comma 2, deve non solo essere proposta all’atto della precisazione delle conclusioni, ma anche ripetuta “al presidente della corte alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica”.

Nel caso di specie, al contrario, la stessa formulazione del ricorso e della censura qui in esame indica che la richiesta di discussione fu avanzata in sede di precisazione delle conclusioni, di comparsa conclusionale e di replica, con ciò implicitamente ammettendo che la reiterazione che la disposizione in esame esige non ebbe luogo.

Nessuna doglianza, quindi, il ricorrente può avanzare in ordine alla mancanza della discussione orale.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo e violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.; con il terzo si lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4), nullità della motivazione o motivazione apparente.

2.1. I due motivi, da trattare congiuntamente, sono entrambi, quando non inammissibili, comunque infondati.

Lamentando, in apparenza, un’omessa valutazione di prove e l’errata applicazione dei principi in tema di prova per presunzioni, il secondo motivo tende, in realtà, a sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.

Il terzo, analogamente, prospetta come motivazione assente o apparente quella che e’ una richiesta di sottoporre l’intero materiale probatorio ad una nuova valutazione di merito in questa sede, in tal modo oltrepassando i limiti del giudizio di legittimità.

3. Con i motivi terzo, quarto, quinto, sesto, settimo e ottavo si lamenta, con varietà di prospettive, la medesima questione, e cioè che la Corte di merito abbia attribuito l’intera responsabilità dell’accaduto al danneggiato, non considerando che il Tribunale aveva richiamato l’articolo 1227 c.c., comma 1, e non il comma 2, di talché negare il concorso di responsabilità del Comune violerebbe anche il principio del divieto di reformatio in peius nel giudizio di appello. Oltre a ciò, sarebbero violate le regole sull’onere della prova ed il principio per cui l’eccezione di cui all’articolo 1227 c.c., comma 2, non è mai rilevabile d’ufficio.

3.1. I motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della loro evidente connessione, sono tutti privi di fondamento.

Va innanzitutto osservato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia ai sensi dell’articolo 2051 c.c., l’allegazione del fatto del terzo o dello stesso danneggiato, idonea ad integrare l’esimente del caso fortuito, costituisce una mera difesa, che deve essere esaminata e verificata anche d’ufficio dal giudice, attraverso le opportune indagini sull’eventuale incidenza causale del fatto del terzo o del comportamento colposo del danneggiato nella produzione dell’evento dannoso (sentenza 30 settembre 2014, n. 20619), per cui nessuna violazione sussiste delle regole sull’onere della prova.

Analogamente, è stato affermato che in tema di danno da insidia stradale, quanto più la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze della strada pubblica è suscettibile di essere prevista e superata dall’utente-danneggiato con l’adozione di normali cautele, tanto più rilevante deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell’ente proprietario della strada e l’evento dannoso (sentenze 20 gennaio 2014, n. 999, e 13 gennaio 2015, n. 287). Tale comportamento imprudente rileva ai fini del primo e non dell’articolo 1227 c.c., comma 2.

Nella specie la Corte d’appello ha dato conto di tutte le ragioni per le quali ha ritenuto che l’incidente fosse da ascrivere ad integrale responsabilità dell’odierno ricorrente, alla luce delle deposizioni testimoniali e degli specifici rilievi sullo stato dei luoghi, sull’ora del sinistro e sulla prevedibilità dell’incidente con l’ordinaria diligenza. In particolare, la Corte ha evidenziato che il danneggiato abitava nella strada dove era caduto, la quale era interessata da lavori di rifacimento ben visibili e che egli non poteva non conoscere e che l’incidente si verificò a mezzogiorno, cioè in un’ora di massima luminosità; ed è pervenuta alla conclusione per cui il suo comportamento abbia integrato gli estremi del fortuito idoneo ad interrompere il nesso di causalità.

Si tratta di una valutazione di merito rispettosa dei principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte; ne’, del resto, alcuna esplicita doglianza di violazione dell’articolo 2051 c.c. è contenuta nei pur numerosi ed ampi motivi di ricorso.

4. Con il nono motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo e violazione del diritto di difesa, sostenendo che la Corte d’appello avrebbe erroneamente rilevato) che i capitoli di prova ridotti e riformulati in primo grado ricalcavano quelli formulati dal danneggiato.

4.1. Il motivo è inammissibile.

Si osserva che la valutazione sull’ammissibilità e la rilevanza dei mezzi di prova è rimessa al giudice di merito che, nella specie, ha dato anche conto delle ragioni per le quali ha considerato non lesiva del diritto di difesa la ristrutturazione dei capitoli di prova compiuti dal Tribunale.

5. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 – quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.300, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

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