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Omissione di soccorso: inosservanza dell’obbligo di fermarsi

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In tema di omissione di soccorso il dolo può essere anche solo eventuale ed investe l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione ad un incidente potenzialmente idoneo a provocare lesioni, mentre non assume rilevanza alcuna la circostanza che poi il conducente datosi inizialmente alla fuga torni indietro oppure si presenti alla polizia o ai carabinieri. Così si è pronunciato il Tribunale di Benevento con sentenza n. 389/2018.

IL CASO:la conducente di un’autovettura tamponava l’auto che la precedeva che a sua volta tamponava un camion e non si fermava a prestare soccorso e veniva citata a giudizio per il reato di cui all’ art. 189 commi 1 e 7 Codice della Strada perché, alla guida della propria autovettura, dopo aver tamponato l’altro veicolo, pur avendone l’obbligo, non si fermava per prestare assistenza al conducente ed alla trasportata, i quali riportavano lesioni personali.

LA DECISIONE: il Tribunale ha ritenuto la donna responsabile, condannandola per il reato ascrittole, con sospensione condizionale della pena, richiamando peraltro la Corte di Cassazione: “Il reato di fuga previsto dall’art. 189, comma sesto del nuovo codice della strada, è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente concretamente idoneo a produrre eventi lesivi alle persone, e non anche l’esistenza di un effettivo danno per le stesse. Il reato in parola si consuma con l’allontanamento dal luogo del sinistro e risulta pertanto irrilevante ai fini della integrazione della fattispecie tipica l’eventuale ritorno di chi si sia inequivocabilmente allontanato o il suo presentarsi presso gli uffici delle forze dell’ordine. Nel reato di omissione di soccorso il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e la necessità del soccorso. La consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può assumere la forma del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza” (Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 28 aprile 2015, n. 17690)”

 

LA SENTENZA:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BENEVENTO

(sezione penale)

Il Giudice dott.ssa Anita Polito alla pubblica udienza del

15/03/2018 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del

dispositivo la seguente:

SENTENZA

NEI CONFRONTI DI:

S.A., nata ad Ariano Irpino il (omissis), ivi residente alla

Contrada C., libera avvisata assente;

Difesa d’ufficio dall’Avv. Teresa Barbera, avvisata assente,

sostituita ex art. 97 comma 4 c.p.p. dall’Avv. Ettore Marcarelli,

presente

IMPUTATO

(COME DA FOGLIO ALLEGATO)

Parte civile:

L.P., nata ad Avellino il (omissis), avvistata assente;

G.S., nato ad Ariano Irpirio il (omissis), avvisato assente

Difesi dall’Avv. Maria Grazia Santosuosso, presente

Con l’intervento del Pubblico Ministero: D.ssa Gaetana Rescigno –

V.P.O.

Le parti hanno concluso come segue:

Il P.M. chiede la pronuncia di una sentenza di condanna al minimo

della pena.

Il difensore della parte civile si associa alla richiesta del P.M.

Il difensore dell’imputato chiede la pronuncia di una sentenza di

assoluzione perché il fatto non costituisce reato, per difetto di

dolo, quantomeno ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p.; in subordine

la pronuncia di una sentenza di condanna al minimo della pena con

tutti i benefici di legge.

IMPUTATO

Del reato di cui all’art. 189, comma 1 e 7 del d.lgs. n. 285/1992 e

s.m.i. perché, alla guida del veicolo tg (omissis) dopo aver

tamponato il veicolo tg (omissis) lungo la SS 90 delle Puglie,

all’altezza dello svincolo Maddalena/Ospedale con direzione Cardito,

pur avendone l’obbligo non si fermava per prestare assistenza a P.L.

e S.G., i quali riportavano lesioni personali.

In Ariano Irpino (AV) il 22.12.2014

Fatto
MOTIVAZIONE

A seguito di decreto di citazione a giudizio emesso in data 23.02.2016, si è proceduto nei confronti di S.A., chiamata a rispondere del reato alla stessa ascritto in rubrica.

Aperto il dibattimento, all’udienza del 07.07.2016, in assenza dell’imputata, ammessa la costituzione di parte civile, le parti formulavano le proprie richieste di prova, orali e documentali, tutte ritualmente ammesse.

All’udienza del 15.03.2018, il P.M. ed i difensori concludevano nei termini in epigrafe trascritti.

Il Giudice ha, infine, deciso come da dispositivo del quale ha dato lettura in udienza.

Nel merito, l’imputata va condannata in relazione a reato alla stessa ascritto.

Quello che segue quanto emerso in sede di istruttoria dibattimentale:

P.L., p.o. costituita parte civile, esaminata all’udienza del 18.05.2017, riferiva che il giorno 22.12.2014, nel mentre si trovava in auto con il marito, percorrendo la S.S. 90, udiva un forte boato provenire da dietro e contemporaneamente venivano sbalzati in avanti.

Il marito, onde evitare di tamponare il furgone che li precedeva, sterzava, andando comunque ad impattare lateralmente contro il predetto mezzo, e lei restava incastrata nell’abitacolo dell’autovettura, lo sportello non si apriva, e avvertiva forti dolori al collo, alla schiena e all’addome.

Subito dopo l’incidente, aveva visto una signora che, scesa dalla autovettura che li aveva tamponati, si avvicinava al loro veicolo dicendo “Dai scendi, tanto non ti sei fatta niente, sangue non ne vedo”. Lei le rispondeva che non riusciva a muoversi e, mentre il marito cercava di chiamare i carabinieri, la donna faceva una telefonata dicendo “vedi che stanno venendo certi, stai attenta che vanno cercando i milioni”, dopodiché saliva in macchina e, nonostante il marito avesse cercato di fermarla parandosi davanti alla sua autovettura, riusciva ad andare via.

Dichiarava, infine, di essere stata trasportata in ospedale con l’autoambulanza e che, in seguito al sinistro, aveva dovuto portare il collare per 15 giorni circa.

Successivamente avevano infine scoperto che l’autovettura condotta dalla donna che li aveva tamponati era sprovvista di copertura assicurativa.

S.G., anch’egli p.o. costituitasi parte civile, esaminato nella medesima udienza, confermava sostanzialmente quanto riferito dalla moglie in merito ai fatti accaduti il 22.12.2014.

D.S.L., conducente dell’automezzo che precedeva l’autovettura condotta da S.G., confermava la dinamica del sinistro quale riferita dalle pp.oo., aggiungendo che, a seguito del tamponamento, il sedile su cui sedeva la moglie dello S. si era girato e la donna era in stato di shock.

Confermava inoltre che la S.A., dopo l’incidente e dopo essere scesa dalla macchina constatando quanto accaduto, era risalita in auto ed era andata via, nonostante lo S. avesse cercato di fermarla.

P.L., in servizio presso la Polizia Municipale di Avellino, intervenuto sul posto, riferiva di essere giunto sulla SS 90 dove era stato segnalato un sinistro automobilistico e di aver trovato sul posto un furgone bianco ed uria Fiat Panda, dove all’interno vi era una donna “divelta” sul sedile anteriore destro, con la portiera incastrata.

Egli provvedeva a disincastrare la portiera e chiamava l’autoambulanza che trasportava la donna in ospedale.

Il marito, presente sul posto, aveva fornito il numero di targa dell’autovettura che li aveva tamponati, allontanandosi poi dal posto.

La targa risultava intestata a S.A., odierna imputata.

Portatisi presso l’abitazione della S.A., la stessa non veniva trovata.

La S.A. si presentava spontaneamente presso la Caserma più tardi, portando i documenti dell’autovettura.

Risultando la scopertura assicurativa dell’auto, avevano provveduto a sequestrarla, elevando la relativa contravvenzione alla S.A..

Quanto alle condizioni della P.L. al suo arrivo e in particolare a richiesta di precisare cosa volesse dire “divelta” sul sedile, lo stesso chiariva: “cioè il sedile si era quasi spezzato a causa dell’urto, quindi stava sdraiata quasi all’interno dell’abitacolo. GIUDICE: Era vigile? DICH. L.P.: sì, era vigile, però non riusciva a muoversi” (Cfr. pag. 14 verb. sten. del 18.05.2017)

Al fascicolo veniva acquisita la certificazione medica relativa al ricovero di P.L. presso il P.S. dell’Ospedale di Ariano Irpino.

Queste, in breve, le risultanze dell’istruttoria dibattimentale.

Orbene, osserva il giudicante che la condotta posta in essere dalla prevenuta integra pienamente gli estremi del reato alla stessa contestato (art. 189 comma 7 C.d.S.).

Ed invero, dall’istruttoria dibattimentale ed in particolare dalle dichiarazioni fornite dalle pp.oo., infatti, è emerso chiaramente che l’imputata, alla guida della propria vettura, il 22.12.2014, dopo aver tamponato violentemente S., quale perfettamente resa l’autovettura all’interno della quale si trovava lo conducente, e la P.L., quale trasportata, pur essendosi conto della gravità dell’incidente e delle verosimili lesioni che la P.L. aveva riportato, posto che la stessa si presentava quasi sdraiata sul sedile, uscito dalla propria sede a seguito dell’urto, dolorante e con lo sportello incastrato; si allontanava dal luogo dell’incidente senza prestare soccorso alla P.L. e anzi, fuggendo via nonostante lo S. avesse cercato di fermarla, senza chiamare soccorsi o attendere l’arrivo delle FF.OO.

In merito, va chiarito che è ben noto a questa A.G. il principio secondo il quale, quando la testimonianza risulti logicamente ed armonicamente inserita nel contesto dell’intera vicenda, anche le dichiarazioni della sola parte offesa possono costituire valido convincimento del Giudice nell’affermazione della responsabilità dell’imputato, pur essendo richiesti in questo caso il giudicante una particolare prudenza ed un rigore nella valutazione dell’attendibilità del testimone.

Ed invero, secondo un orientamento definitivamente consolidato, nel sistema processuale penale, ispirato al principio del libero convincimento del giudice, la sentenza di condanna può essere basata sulle dichiarazioni della persona offesa, ancorché costituita parte civile, la cui testimonianza ove ritenuta intrinsecamente attendibile, assurge a dignità di prova a tutti gli effetti, potendo anche da sola essere posta a base dell’affermazione di colpevolezza (Cass. Pen. sez. III, 10/04/2001 n. 20431).

Da ultimo, la Giurisprudenza (Cass. Sez. II sent. n. 35443/2003) ha ribadito che la deposizione della persona offesa del reato, anche se non valutabile alla stregua e/o sullo stesso piano di quella resa dal testimone estraneo ai fatti, può essere assunta come unica fonte di prova quando non vi siano ragioni per dubitare della sua attendibilità, qualora sia sottoposta naturalmente ad un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva nel contesto delle generali risultanze processuali, anche in assenza di eventuali riscontri esterni.

Nel caso che ci occupa, è possibile desumere l’attendibilità intrinseca delle pp.oo. dal contesto dell’intera vicenda e dal complesso delle dichiarazioni rese (assolutamente univoche, dettagliate e ricche di particolari).

Ma la ricostruzione particolareggiata emersa dalle assonanti dichiarazioni delle pp.oo. ha trovato precisi e puntuali riscontri di natura soggettiva ed oggettiva e consentono di attribuire alla stessa piena efficacia probatoria in forza dell’intrinseca coerenza logica delle dichiarazioni rese e della mancanza di elementi che inducano in qualche modo a dubitare dell’obiettività dei dichiaranti.

L’istruttoria dibattimentale non ha, infatti, messo in evidenza elementi indicativi di una particolare situazione di astio esistente nei confronti dell’odierna imputata e le dichiarazioni rese dalle pp.oo. sono state puntualmente riscontrate da tutte quelle degli altri testi escussi, in particolare del conducente il furgone che li precedeva – e che a causa del sinistro veniva a sua volta tamponato dall’auto a bordo della quale si trovavano i coniugi S. e dunque testimone oculare di quanto accaduto -, nonché dell’ufficiale di p.g. intervenuto sul posto, che provvedeva ad identificare sia il conducente del furgone, fermo anch’egli sul luogo del sinistro, che i coniugi S., che, fornivano il numero di targa dell’autovettura tamponante, che risultava intestata proprio a S.A..

Ulteriore riscontro oggettivo, la certificazione medica acquisita al fascicolo del dibattimento, attestante lesioni compatibili con la dinamica del sinistro quale descritta dai denuncianti.

Quanto alla configurabilità del reato in contestazione, la Suprema Corte ha avuto modo di osservare che “Il reato di fuga previsto dall’art. 189, comma sesto del nuovo codice della strada, è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l’inosservanza dell’obbligo di fermarsi in relazione all’evento dell’incidente concretamente idoneo a produrre eventi lesivi alle pèrsone, e non anche l’esistenza di un effettivo danno per le stesse. Il reato in parola si consuma con l’allontanamento dal luogo del sinistro e risulta pertanto irrilevante ai fini della integrazione della fattispecie tipica l’eventuale ritorno di chi si sia inequivocabilmente allontanato o il suo presentarsi presso gli uffici delle forze dell’ordine. Nel reato di omissione di soccorso il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone e la necessità del soccorso. La consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può assumere la forma del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza” (Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 28 aprile 2015, n. 17690).

Alla luce di quanto sopra esposto, deve dunque ritenersi ampiamente provata la responsabilità dell’imputata in relazione al reato alla stessa contestato.

Quanto al trattamento sanzionatorio, valutati tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., stimasi pena equa e congrua da irrogare, quella di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Considerata la non particolare gravità della condotta posta in essere, sussistono i presupposti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Segue di diritto l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida nei confronti dell’imputata, per un anno e mesi sei.

Dalla condotta posta in essere dall’imputata, infine, sono derivati indubbi danni materiali e morali per P.L., costituita parte civile ma, per mero errore materiale, non emendabile in questa sede, non veniva disposta la relativa condanna dell’imputata in dispositivo.

PQM

Letti gli artt. 533,535 c.p.p.

Dichiara S.A. responsabile del reato alla stessa ascritto e la condanna alla pena di anni uno di reclusione.

Condanna altresì l’imputata al pagamento delle spese processuali.

Pena sospesa.

Letto l’art. 189 comma 7 C.d.S., applica a S.A. la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per anni uno e mesi sei.

Indica in giorni 60 il termine per il deposito della motivazione.

Benevento, 15.03.2018

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