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Colpo di frusta: la radiografia non è l’ unica prova

colpo di frusta

Con la recente sentenza n. 1272 del 19.1.2018, la Corte di Cassazione ha affermato il principio in base al quale, la radiografia non è il solo mezzo di prova delle lesioni al rachide cervicale in quanto è il Medico legale a stabilire se sussista la lesione ed in quale percentuale.

IL CASO:

Tizio agiva in giudizio al fine di ottenere il ristoro delle lesioni subite a causa di un sinistro stradale; la domanda veniva rigettata in primo grado ma accolta in appello ma il Giudice respingeva la domanda di risarcimento della lesione del rachide cervicale in quanto tale danno non sarebbe stato provato per carenza di accertamento clinico strumentale obiettivo. Tizio quindi ricorreva per Cassazione.

LA DECISIONE:

La Corte, pur ribadendo che, pur ammettendo che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica debba avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali, comunque “l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale”.

In tal modo quindi va interpretato l’art. 139 comma 2 del Dlgs. n. 209 del 2005 ed in tal senso si era già precedentemente espressa la stessa Corte (cfr. Cass. n. 18773/2016)

Indubbiamente, nelle intenzioni del legislatore, il citato art. 139 deve permettere di ottenere il rigoroso accertamento delle lesioni cd. “micro” (quelle contenute entro i 9 punti di invalidità permanente) ma non deve essere interpretato nel senso che la prova della lesione debba essere fornita soltanto con l’accertamento clinico strumentale: è infatti l’accertamento medico legale, come sopra anticipato, che deve permettere di accertare se la lesione sussista e quale sia la sua entità in termini di valutazione percentuale. Il ricorso veniva pertanto accolto.

LA SENTENZA:

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Sentenza 19 gennaio 2018 n. 1272

sul ricorso 6894-2016 proposto da: DE R. M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE OCEANO ATLANTICO 37-H, presso lo studio dell’avvocato TITO FESTA, rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE DI MEZZA, LUIGI ROMANO giusta procura a margine del ricorso; – ricorrente –

contro

SARA ASS.NI SPA, in persona del suo legale rappresentante – procuratore speciale, Dott. GAETANO OCCORSIO, elettivamente domiciliata in ROMA, … , presso lo studio dell’avvocato R.RIO LIVIO ALESSI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO ALESSI giusta procura in calce al controricorso; – controricorrente –

nonchè contro

R. P., CATTOLICA ASS.NI SPA; – intimati –

avverso la sentenza n. 320/2015 del TRIBUNALE di BENEVENTO, depositata il 13/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/11/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per l’accoglimento del motivo 6 ° del ricorso;

udito l’Avvocato SALVATORE DI MEZZA;

udito l’Avvocato R.RIO LIVIO ALESSI;

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione del 13 giugno 2006 P. R. convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Solopaca, M. De R. e la società Cattolica di assicurazioni, chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni da lui subiti nel sinistro stradale avvenuto, in data 11 febbraio 2006, tra il motociclo da lui condotto e la vettura del De R.. Si costítuirono in giudizio entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo il De R. domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni fisici e materiali da lui subiti nel medesimo incidente. Integrato il contraddittorio nei confronti della Sara Assicurazioni s.p.a., società assicuratrice del motociclo del R., svolta prova per testi ed espletata una c.t.u., il Giudice di pace, con sentenza n. 726 del 2011, dichiarò il De R. unico responsabile, accolse la domanda principale, rigettò quella riconvenzionale e condannò i convenuti al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese di giudizio.

2. La pronuncia è stata impugnata dal De R. e il Tribunale di Benevento, con sentenza del 13 febbraio 2015, in accoglimento del gravame ha ritenuto che il sinistro fosse da ricondurre a responsabilità esclusiva del R.; ha pertanto rigettato la domanda del medesimo, ha accolto la domanda del De R. ed ha condannato l’appellato e la sua società di assicurazione al risarcimento dei danni, liquidati in complessivi euro 804, oltre interessi e con il carico delle spese dei due gradi di giudizio. Ha osservato il Tribunale, per quanto di interesse in questa sede, che doveva essere accolta la domanda di risarcimento dei danni materiali subiti dalla vettura di proprietà dell’appellante, mentre non poteva essere accolta quella di risarcimento del danno alla persona. Poiché il De R. aveva riportato, in conseguenza dell’incidente, una lesione del rachide cervicale non suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo, alla luce della previsione dell’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, la relativa domanda doveva essere respinta, trattandosi di disposizione applicabile nella specie, benché sopravvenuta nel corso del giudizio. 3. Contro la sentenza del Tribunale di Benevento propone ricorso M. De R. con atto affidato a sei motivi e supportato da memoria. Resiste la Sara Assicurazioni s.p.a. con controricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ragioni di economia processuale consigliano di esaminare il ricorso prendendo le mosse dai motivi secondo e sesto, che debbono essere trattati congiuntamente ed in via prioritaria.

1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 139, comma 2, del d.lgs. n. 209 del 2005, nonché dell’art. 32, commi 3 – ter e 3 -quater del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27. Il ricorrente, dopo aver richiamato il testo dell’art. 139 cit., così come modificato dalla legge n. 27 del 2012, rileva che quest’ultima disposizione non ha modificato la definizione di danno biologico. Il danno alla salute, anche se di modesta entità, deve essere comunque rigorosamente accertato in sede di merito, cosa che nella specie sarebbe avvenuta, perché il c.t.u., dopo aver esaminato la persona del De R., è giunto alla conclusione di inquadrare con esattezza il tipo di patologia e l’entità dei danni subiti. La distorsione del rachide cervicale, quindi, avrebbe dovuto essere risarcita; e comunque, ove anche non fosse risarcibile il danno da c.d. micropermanente, il Tribunale avrebbe almeno dovuto riconoscere il diritto al risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea.

2. Con il sesto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale. Sostiene il ricorrente che il Tribunale avrebbe fatto un’applicazione retroattiva della disposizione della legge n. 27 del 2012 la quale, invece, essendo sopravvenuta rispetto ai fatti di causa, non avrebbe dovuto trovare applicazione nel caso specifico. Rileva la parte che il principio di retroattività ha in materia civile un’applicazione limitata e che nel caso in esame né i medici del pronto soccorso né il c.t.u. avevano ritenuto di procedere ad un accertamento radiografico della patologia, in quanto all’epoca tale accertamento non era richiesto. L’applicazione della disposizione nuova con effetto retroattivo avrebbe, quindi, pregiudicato il danneggiato, privandolo del diritto al risarcimento.

3. I motivi ora indicati pongono all’esame di questa Corte il problema del risarcimento del danno alla salute nelle c.d. micropermanenti e delle modalità di applicazione della disposizione che nel 2012 ne ha limitato la risarcibilità alle sole lesioni suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo.

Giova rammentare, su questo punto, che i commi 3-ter e 3-quater dell’art. 32 del d.l. n. 1 del 2012, inseriti entrambi dalla legge n. 27 del 7 2012, di conversione del d.l. stesso, hanno introdotto alcune modifiche nel sistema risarcitorio dell’art. 139 del d.lgs. n. 209 del 2005. In particolare, il comma 3-ter dispone che al comma 2 dell’art. 139 cit. sia aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente».

Il comma 3-quater aggiunge che «il danno alla persona per lesioni di lieve entità di cui all’articolo 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, è risarcito solo a seguito di riscontro medico legale da cui risulti visivamente o strumentalmente accertata l’esistenza della lesione». E va aggiunto, per completezza, pur trattandosi di disposizione sopravvenuta alla proposizione dell’odierno ricorso, che l’art. 1, comma 19, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ha ulteriormente riscritto il testo dell’art. 139 cit. aggiungendo un espresso richiamo, peraltro ininfluente ai fini del ricorso qui in esame, alle cicatrici ed al danno visivamente riscontrabile. Contestualmente, l’art. 1, comma 30, lettera b), della legge n. 124 del 2017 ha abrogato il comma 3-quater del d.l. n. 1 del 2012. Chiamato ad esaminare la portata di tali disposizioni, il Tribunale di Benevento ha affermato, da un lato, che la norma introdotta dal citato art. 32, comma 3-ter, benché sopravvenuta, era applicabile alla fattispecie in esame; dall’altro, poiché nel caso in questione la lesione del rachide cervicale subita dal De R. non era «suscettibile di accertamento clinico strumentale obiettivo», ha tratto la conclusione, nonostante il c.t.u. avesse individuato tale patologia sulla base di conclusioni ritenute «condivisibili», che tale danno non potesse essere risarcito all’infortunato.

3.1. Sull’effettiva interpretazione da attribuire alle disposizioni ora richiamate questa Corte ha già avuto occasione di pronunciarsi con la recente sentenza 26 settembre 2016, n. 18773. In tale pronuncia – nella quale, peraltro, si doveva giudicare in relazione ad un tipo di patologia ben diversa da quella di cui al ricorso odierno, e per di più accertata da un sanitario di guardia di un pronto soccorso ospedaliero – la Corte ha affermato che le citate norme si applicano anche ai giudizi in corso (richiamando, sul punto, la sentenza n. 235 del 2014 della Corte costituzionale). Ha poi precisato che la ratio delle medesime norme va tratta assumendo come punto di riferimento la previsione degli artt. 138 e 139 del d.lgs. n. 209 del 2005 e, in particolare, la previsione del comma 2 dell’art. 139 secondo cui «per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale». Ragione per cui quella sentenza è pervenuta alla conclusione che anche alla luce della norma sopravvenuta (che richiede un accertamento clinico strumentale obiettivo) i criteri di accertamento del danno biologico non sono «gerarchicamente ordinati tra loro ma da utilizzarsi secondo le leges artis» in modo da condurre ad una «obiettività dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni che i relativi postumi (se esistenti)».

3.2. Alla citata pronuncia l’odierna sentenza intende dare continuità, con le precisazioni che seguono. È chiaro che la normativa introdotta nel 2012 ha come obiettivo quello di sollecitare tutti gli operatori del settore (magistrati, avvocati e consulenti tecnici) ad un rigoroso accertamento dell’effettiva esistenza delle patologie di modesta entità, cioè quelle che si individuano per gli esiti permanenti contenuti entro la soglia del 9 per cento. Il legislatore, cioè, ha voluto dettare una norma che, in considerazione dei possibili margini di aggiramento della prova rigoR. dell’effettiva sussistenza della lesione, imponga viceversa una prova sicura.

Ciò è del tutto ragionevole se si riflette sul fatto che le richieste di risarcimento per lesioni di lieve entità sono, ai fini statistici che assumono grande rilevanza per la gestione del sistema assicurativo, le più numerose; per cui, nonostante il loro modesto contenuto economico, esse comportano comunque ingenti costi collettivi. Del resto anche la Corte costituzionale, tornando ad occuparsi della materia, dopo la sentenza n. 235 del 2014, con l’ordinanza n. 242 del 2015, ha avuto modo di chiarire che il senso della normativa del 2012 è quello di impedire che l’accertamento diagnostico ridondi in una «discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati», anche in considerazione dell’interesse «generale e sociale degli assicurati ad avere un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi».

Il che conferma l’esigenza economica di un equilibrio tra i premi incassati e le prestazioni che le società di assicurazione devono erogare. Il rigore che il legislatore ha dimostrato di esigere – che, peraltro, deve caratterizzare ogni tipo di accertamento in tale materia – non può essere inteso, però, come pure alcuni hanno sostenuto, nel senso che la prova della lesione debba essere fornita esclusivamente con l’accertamento clinico strumentale; come già ha avvertito la citata sentenza n. 18773 del 2016, infatti, è sempre e soltanto l’accertamento medico legale svolto in conformità alle leges artis a stabilire se la lesione sussista e quale percentuale sia ad essa ricollegabile. E l’accertamento medico non può essere imbrigliato con un vincolo probatorio che, ove effettivamente fosse posto per legge, condurrebbe a dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale, posto che il diritto alla salute è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione e che la limitazione della prova della lesione del medesimo deve essere conforme a criteri di ragionevolezza.

La norma positiva, ad avviso del Collegio, non va interpretata in questo modo, bensì nel senso, come detto, di imporre un accertamento rigoroso in rapporto alla singola patologia, tenendo presente che vi possono essere situazioni nelle quali, data la natura della patologia e la modestia della lesione, l’accertamento strumentale risulta, in concreto, l’unico in grado di fornire la prova rigoR. che la legge richiede.

Tale possibilità emerge in modo palese nel caso in esame, nel quale si discuteva di una classica patologia da incidente stradale, cioè la lesione del rachide cervicale nota volgarmente come colpo di frusta. È evidente che il c.t.u. non può limitarsi, di fronte a simile patologia, a dichiararla accertata sulla base del dato puro e semplice – e in sostanza non verificabile – del dolore più o meno accentuato che il danneggiato riferisca; l’accertamento clinico strumentale sarà in simili casi, con ogni probabilità, lo strumento decisivo che consentirà al c.t.u., fermo restando il ruolo insostituibile della visita medico legale e dell’esperienza clinica dello specialista, di rassegnare al giudice una conclusione scientificamente documentata e giuridicamente ineccepibile, che è ciò che la legge attualmente richiede.

3.3. Alla luce di tutto quanto si è detto, risulta in modo chiaro che i due motivi di ricorso sono fondati. Il Tribunale, infatti, pur in presenza di una c.t.u. ritenuta del tutto condivisibile, ha posto a carico del danneggiato la responsabilità dell’omissione consistente nel mancato espletamento di un accertamento clinico strumentale obiettivo ed ha per questo rigettato la domanda. In tal modo sono stati commessi due errori: da un lato, quello di svilire l’accertamento compiuto dal c.t.u., che si sarebbe potuto convocare per chiarimenti e per un eventuale accertamento supplementare; e, dall’altro, quello di porre a carico dell’infortunato un onere probatorio che neppure sussisteva nel momento in cui il giudizio fu incardinato.

Come si è già detto, infatti, la causa odierna ebbe inizio nel 2006 e si concluse in primo grado con una sentenza del 2011, cioè anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche legislative di cui si è discusso. D’altra parte, la retroattività cui ha fatto cenno anche la menzionata sentenza n. 18773 del 2016 di questa Corte – che si fonda su di un obiter contenuto nella sentenza della Corte costituzionale n. 235 del 2014, peraltro finalizzato in quella sede a negare la necessità di restituzione degli atti ai giudici a quibus, trattandosi di norma sopravvenuta – non può condurre alla conclusione di porre a carico della parte un onere probatorio inesistente nel momento in cui il giudizio fu promosso, essendo la norma sopravvenuta quando la causa era già in grado di appello.

4. In conclusione, sono accolti il secondo ed il sesto motivo di ricorso, il che comporta l’assorbimento degli altri. La sentenza impugnata è cassata in relazione ed il giudizio è rinviato al Tribunale di Benevento, in persona di un diverso Magistrato, il quale deciderà attenendosi al seguente principio di diritto: «In materia di risarcimento del danno da c.d. micropermanente, l’art. 139, comma 2, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, nel testo modificato dall’art. 32, comma 3 – ter, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, inserito dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n. 27, va interpretato nel senso che l’accertamento della sussistenza della lesione temporanea o permanente dell’integrità psico-fisica deve avvenire con rigorosi ed oggettivi criteri medico-legali; tuttavia l’accertamento clinico strumentale obiettivo non potrà in ogni caso ritenersi l’unico mezzo probatorio che consenta di riconoscere tale lesione a fini risarcitori, a meno che non si tratti di una patologia, difficilmente verificabile sulla base della sola visita del medico legale, che sia suscettibile di riscontro oggettivo soltanto attraverso l’esame clinico strumentale».

Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il sesto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia al Tribunale di Benevento, in persona di un diverso Magistrato, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione. 

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Se one Civile, il 21 novembre 2017.

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