Se il paziente non assume correttamente i farmaci indicati dai medici, nessuna colpa può essere imputata ai sanitari.
Nel verificare la sussistenza o meno del nesso causale tra la condotta del medico e l’evento dannoso, occorre tenere conto anche la condotta del paziente e valutare se il medesimo avrebbe potuto evitare le conseguenze dannose attenendosi alla prescrizione di posologia dei farmaci.
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione penale con la recente sentenza n. 21868/2018
IL CASO: una donna, dopo aver subito un intervento, (nella specie interruzione volontaria di gravidanza per gravi malformazioni del feto) veniva dimessa con prescrizione di farmaco antiemorragico. Nei giorni seguenti però la donna tornava al Pronto Soccorso per abbondanti perdite ematiche, veniva visitata e sottoposta agli esami del caso e successivamente di nuovo dimessa con prescrizione di farmaci ed ulteriori esami da eseguire.
La donna però non assumeva i farmaci prescrittile e, presentando ancora perdite ematiche, tornava al Pronto Soccorso dove veniva sottoposta ad accertamenti all’esito dei quali veniva ricoverata per ulteriori controlli e cure e dopo alcuni giorni, considerato l’esame ecografico negativo, veniva dimessa.
La donna agiva nei confronti delle due ginecologhe che l’ebbero in cura, entrambe condannate in primo grado ed in appello per non avere indicato alla paziente la necessità di provvedere immediatamente all’acquisto del farmaco e alla sua assunzione intramuscolare.
In particolare i giudici hanno addebitato ad una delle ginecologhe il non aver riconosciuto, effettuando ecografia transvaginale, la presenza di materiale deciduo coriale né una diversa diagnosi; l’altra ginecologa è stata condannata per omessa nuova diagnosi dopo il secondo episodio emorragico. Le due ginecologhe ricorrevano per Cassazione
LA DECISIONE: la Cassazione, premesso che era maturato il termine prescrizionale per i reati ascritti alle ginecologhe, per cui doveva essere pronunciata l ‘estinzione dei reati, affermava comunque che la corretta assunzione del farmaco da parte del paziente incide sul nesso causale; nel caso di speciei giudici del merito non avrebbero neppure valutato come la vicenda avrebbe potuto avere un esito differente se la paziente, una volta dimessa, avesse assunto tempestivamente i farmaci che i medici le avevano prescritto, perché erano partiti dal presupposto che se il medico si trovi di fronte a un peggioramento non previsto dei sintomi o a una situazione di evoluzione del quadro clinico o ancora al perdurare della situazione già esistente incompatibile con la terapia prescritta e somministrata, deve ripetere la diagnosi differenziale, non potendo semplicemente mantenere la diagnosi già formulata, al fine di modificare eventualmente l’intervento.
La Corte territoriale, invece, non ha considerato il punto centrale dell’intera vicenda: il giudizio controfattuale circa l’efficacia della tempestiva assunzione del farmaco da parte della paziente, nella posologia indicata, utile per la ricostruzione del nesso causale fra le condotte dei sanitari e l’evento.
Tutto era invece stato incentrato invece sulla responsabilità dei sanitari per la mancata assunzione ospedaliera del farmaco prima delle dimissioni, ritenendo unica alternativa possibile il proseguimento del ricovero in ospedale.
Ogni valutazione viene comunque rimandata al giudice civile, attesa la prescrizione dei reati.