Ai fini della valutazione della responsabilità professionale sanitaria, il giudice deve attenersi ai criteri definiti in giurisprudenza, perché il giudizio non può derivare da una valutazione generica
È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza n. 35058/2020 nella quale gli Ermellini hanno richiamato i criteri di giudizio, indicando specificamente gli elementi che il giudice deve considerare:
- se il caso concreto sia regolato da linee guida oppure no, in subordine se sia regolato da buone pratiche clinico-assistenziali;
- se la colpa del sanitario sia generica oppure specifica e se sia dovuta a imperizia, negligenza o imprudenza;
- se e in che misura la condotta del medico si sia discostata dalle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali.
- se nel caso concreto sussista il nesso di causalità, tenendo conto del comportamento indicato dalle linee guida o dalle buone pratiche;
I giudici della Suprema Corte hanno inoltre ribadito che, nei giudizi per accertamento di responsabilità professionale sanitaria, per l’accertamento del nesso di causalità è fondamentale il giudizio controfattuale che “…deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di probabilità razionale“.
Per questo motivo è importante accertare l’insorgenza e la successiva evoluzione della malattia, perché in tal modo si può verificare se l’evento di danno si sarebbe potuto evitare, nell’ipotesi in cui il sanitario avesse attuato la condotta che era dovuta e che ha omesso nel caso concreto.