Approfondimenti
Va segnalato che in ambito giurisprudenziale si sta aprendo la strada verso la fissazione del termine prescrizionale in anni 5 per entrambi i casi.
Allo stato attuale permane comunque la prescrizione , come sopra indicato, di anni 10 se si agisce contro la struttura sanitaria e di anni 5 per le azioni nei confronti dei medici "dipendenti".
L'onere della prova, nel corso degli ultimi anni, ha subito profonde modifiche, essendo stati elaborati concetti che tutelano maggiormente la posizione del paziente. Infatti, negli anni in cui la responsabilità medica è stata ancorata ad una responsabilità di tipo extracontrattuale, gli oneri probatori a carico del paziente risultavano particolarmente gravosi, atteso che colui che agiva in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti era tenuto a provare oltre al danno, anche il nesso causale tra la patologia denunciata e la prestazione sanitaria. L'evoluzione giurisprudenziale ha posto invece a fondamento della responsabilità della struttura sanitaria la figura del contratto atipico c.d. di “spedalità” o di assistenza sanitaria, in relazione al quale consegue una responsabilità di natura contrattuale della casa di cura o dell’Ente nei confronti del paziente. A fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che può essere adempiuto anche dal servizio sanitario nazionale), nascono a carico dell’ente ospedaliero, accanto agli obblighi di tipo “sanitario”, anche obblighi alberghieri in senso lato, nonché obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario e di tutte le attrezzature necessarie per far fronte in modo adeguato a complicazioni ed emergenze. La responsabilità dell’ente sanitario viene configurata come un’ipotesi di responsabilità oggettiva in relazione all’operato dei propri dipendenti: infatti, si ritiene applicabile l’art. 1228 c.c., che rende il debitore responsabile per i fatti dolosi o colposi degli ausiliari dei quali egli si avvale per l’esecuzione della prestazione. Ancora, ai sensi degli artt. 1175, 1218 e 1375 c.c., la struttura sanitaria risponde del danno da disorganizzazione nel caso di danno ingiusto arrecato al paziente per omissione di diligenza nel predisporre gli strumenti necessari all’esatto adempimento della prestazione sanitaria. Tale impostazione in ordine all’onere della prova è stata profondamente modificata a favore del paziente danneggiato dalla innovativa sentenza a Sezioni Unite n. 577/2008 della Suprema Corte, poi confermata dalle successive pronunce che hanno trattato la medesima problematica. Le Sezioni Unite della Cassazione, hanno dettato il seguente nuovo principio di diritto: "In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contratto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio, l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare il contratto (o il contatto sociale) e l’aggravamento della patologia o l’insorgenza di un’affezione ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante." L’impostazione di cui sopra è stata confermata dalle successive sentenze della Suprema Corte a Sezioni Semplici (es. la n. 12274/2011, la n. 1538/2010 e la n. 20101/2009). Con sentenza molto recente, la n. 15993 del 21 luglio 2011, la Suprema Corte ha richiamato nuovamente la sentenza n. 577/2008, precisando quanto segue: “lo sforzo probatorio dell’attore può non spingersi oltre la deduzione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno, restando poi a carico del convenuto l’onere di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o di imperizia può essergli mosso, o che, pur essendovi stato un suo inesatto adempimento, questo non ha avuto alcuna incidenza causale sulla produzione della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e del medico, sotto il profilo della prova, per orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, soggiace al principio dell'inversione dell'onere della prova, elaborato a favore del paziente”. Infatti è il professionista che deve fornire la prova dell'esattezza della prestazione erogata e quindi dimostrare di aver svolto la prestazione con la dovuta diligenza ed in modo prudente e tecnicamente appropriato e che il danno subito dal paziente è dovuto a causa sopravvenuta ed indipendente dal suo operato. Il paziente è invece tenuto a fornire la prova dell'esistenza del contratto, il danno subito ed allegare l'inadempimento del professionista, consistente nell'aggravamento della situazione patologica o nell'insorgenza di nuove patologie. Va sottolineato però, per completezza, che al di là dell'enunciazione del principio, resta ferma la circostanza che il paziente danneggiato che voglia conseguire il risarcimento e quindi fare emergere la situazione di malasanità in cui è incappato, dovrà comunque dimostrare l'adempimento del medico, del sanitario o comunque della struttura e ciò resta ancora estremamente complicato ed oneroso.
In ambito di responsabilità professionale sanitaria può essere configurata sia una responsabilità di tipo civile che penale. L’art. 28 della Costituzione prevede che la responsabilità civile si estende all’ente (fatto salvo il diritto di rivalsa sul dipendente nei casi di dolo o colpa grave in virtù delle norme specifiche sul pubblico impiego). L’art. 27 della Costituzione prevede, invece, che “La responsabilità penale è personale”, nel senso che, in un contenzioso in sede penale, il professionista è tenuto a rispondere "personalmente" del fatto-reato che gli viene attribuito. Oggi però è sempre più rara l’ipotesi in cui del fatto sia responsabile un singolo professionista, trattandosi, nella quasi totalità dei casi di "attività in equipe", per cui, viene applicato l’art. 113 del codice penale titolato "Cooperazione nel delitto colposo", secondo le cui disposizioni, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, "ciascuna di esse soggiace alla pena stabilita per il delitto stesso. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto...". Da quanto sopra riportato, emerge con evidenza come sia molto più difficile e rischioso dimostrare la responsabilità del professionista in ambito penale piuttosto che civile, in quanto il sanitario incolpato, rispondendo a titolo personale del fatto-reato, cercherà con ogni mezzo di dimostrare la propria innocenza, che dovrà essere provata al di là di ogni ragionevole dubbio, secondo quelle che sono le direttive della giurisprudenza ormai consolidata. I presupposti per la sussistenza della responsabilità penale sono quindi decisamente più stringenti e precisi, rispetto alla sussistenza della responsabilità civile. Adriatica Infortuni valuta quindi con molta attenzione i singoli casi , al fine di consigliare al danneggiato la tutela che, nella fattispecie occorsa, gli è più favorevole. Il paziente/danneggiato quindi, a sostegno delle proprie argomentazioni, dovrà munirsi di un parere medico legale, unitamente ai pareri di medici specialisti, da cui risulti l'inadempimento della struttura sanitaria e/o del medico; è evidente, pertanto, che fornire tale prova non solo è molto oneroso ma richiede anche notevoli capacità ed un'alta professionalità. Adriatica Infortuni assiste il Cliente in tutto il complesso iter per pervenire al giusto risarcimento, mettendo a disposizione dei propri Clienti solo i migliori medici legali e medici specialisti, facendosi carico delle spese necessarie.
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