La valutazione del giudice può differire da quella del consulente tecnico. È quanto affermato dalla Corte di cassazione con la recente sentenza n. 29341/2017 relativo ad un caso di responsabilità professionale sanitaria di natura odontoiatrica, con cui gli Ermellini sono andati ad indagare la questione dei limiti della discrezionalità del giudice nella determinazione del risarcimento del danno rispetto alla valutazione del CTU.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, infatti, i giudici del merito avevano aumentato la percentuale di invalidità permanente rispetto a quella determinata dalla consulenza tecnica d’ufficio. Tale aumento veniva contestato dalla difesa dell’odontoiatra che ricorreva per Cassazione.
La Corte ha rigettato il ricorso ribadendo che le valutazioni del CTU NON SONO VINCOLANTI PER IL GIUDICE. Il Giudice può quindi disattendere le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, tuttavia deve giustificare la diversità della propria valutazione “attraverso un esame critico che sia ancorato alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivato” e deve indicare gli elementi in base ai quali ha ritenuto non corretta la consulenza del CTU nonché i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici utilizzati per giungere alla propria decisione.
La Corte ha rigettato il ricorso, sulla scorta delle suddette argomentazioni, ritenendo che i Giudici del merito avessero correttamente indicato gli elementi contestati al CTU ed i criteri di valutazione ed altrettanto correttamente ritenuto che l’invalidità permanente fosse diversa rispetto a quella indicata dal CTU e fosse da liquidare secondo equità per via degli elementi dentari persi per effetto dell’inadempimento del medico e dell’invalidità permanente residuata al paziente alla luce dell’impossibilità di applicare protesi fisse.
Confermata pertanto la quantificazione del danno diversa e maggiore rispetto a quanto indicato dal consulente.